I ruderi del PILET, sul sentiero che da Viganella porta a Zonca. E’  l’abitazione delle steghe per eccellenza.

I racconti: testimonianze

LA STREGA
     Raccontavano che a San Rocco c’era una strega. Un giovane di Seppiana veniva a Viganella per trovare la fidanzata. Quando tornava a casa, nella località Scarpi incontrava sempre una bella ragazza con le trecce bionde. E si chiedeva:
     “Cosa ci fa una ragazza da sola qui, di notte?”
     Ma come le si avvicinava, questa bella ragazza dalle trecce bionde spariva. Per un po’ ha fatto finta di niente, faceva finta di passare di sotto, di evitarla; ma poi si è detto:
      “Voglio proprio vederla, la prendo per le trecce e la giro”, perché lui la vedeva voltata di spalle, ma vedeva che era bella.
     Una volta l’ha incontrata e l’ha presa per le trecce; e quando si è girata, chi ha visto? La sua fidanzata che era una strega.

LE STREGHE DEL ”PILET”
     Una volta quando eravamo giovani… qui a Viganella parecchi avevano la fidanzata a Zonca. Andavano a trovarla due volte la settimana: il giovedì e la domenica. Una volta un giovane scendendo a Viganella (1) (era ormai notte e bisognava ritornare), si è trovato tra i piedi un becco che, un po’ avanti un po’ indietro, lo ha seguito (per tutto il tragitto); il giovane cercava di allontanarlo, ma non vi riusciva.
     Arrivato a casa, dice a sua madre:
     “Ieri sera tornando (da Zonca) mi ha sempre seguito un becco”.
     “Che cosa ne hai fatto?”
     “L’ho messo nella stalla; domattina dagli un po’ da mangiare”.
     “Dovevi lasciarlo andare per la sua strada!”
     “L’ho chiuso nella stalla; dagli un po’ di cibo, poi lo mandiamo via”.
     Allora questa donna, sua mamma, scende a dargli qualcosa; quando è nella stalla non vede una capra, ma la fidanzata del figlio là, legata con la catena alla mangiatoia. Ha avuto paura; sale e dice a suo figlio:
     “Accidenti! Scendi a vedere, non è una capra! E’ la tua fidanzata”.
     “Non è possibile!”
     “Scendi a vedere, allora!”
     Era proprio lei; l’hanno poi fatta uscire, cosa dovevano farne; e se n’è andata. Guardate che ci vuol tutta…!
     Quando veniva giorno le streghe sparivano; arrivavano con la notte. Ai miei tempi dopo il suono dell’Ave Maria bisognava entrare in casa perché giravano le streghe; e le streghe facevano paura.
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1) Per scendere da Zonca a Viganella si passa nella località del Pilet, dove vi sono ruderi di baite. Era il luogo dove, nelle leggende, vivevano le streghe.

ERA UNA STREGA E IO L’HO  CONOSCIUTA
     ... ... ... ...
     Talvolta mia mamma mi mandava a Schieranco, di dove lei era originaria, ad aiutare i nonni. Ma io avevo paura ad andare a Schieranco perché quella donna io l’avevo conosciuta: mia nonna aveva la stalla delle capre e della pecore vicino a casa sua. Mi dicevano sempre:
    
 “Non parlarle! Vai via di corsa quando la vedi”.
     E ci dicevano anche di non fermarci a parlare con le donne di Montescheno perché sono streghe. Difatti quando ci facevano due complimenti come “Che bei bambini! Siete di Viganella?”, noi scappavamo!
     C’erano davvero… una volta dicevano che c’erano. Correva voce che al sabato sera i prati del Lavaröt fossero pieni di luci. Erano le streghe che ballavano.

LA STRIA   (Rosalba)
     I gevan che fo da San Roc u g n era ina. In jùan u partiva da Sepiana e u gniva in Viganela a truųà la muruša. Quand ch’u turnava a ca, in Scarpi u incuntrava semper ina mata, bela, cun al quaz biund.
     “Que ch’la fa ina mata da par lei qui indà par la noč?”.
     Me ch’u g rivava a pröu, la spariva sta bela mata dal quaz biund. Par in po’ l’ha fač finta d’angota u fava finta da pasà da sot, da schiviala; ma pus l’ha dič:
     “A vöi propi vegla, a la ciapi pal quaz e a la giri”, parqué li u l’augheva da dre, ma augheva ch’l’era bela.
     In bot u l’ha incuntrà e u l’ha ciapà par al quaz; quand la s è girà chi ch’l’ha vist?  L’era la so muruša, ch’l’era na stria.



AU STRI DAL PILET   (Angiolina)
     In bot quand ch’a seran jüan, qui a Viganela i jüan į evan fač al murus sindà da Zunca. I nasevan a truai do bot la šmana u jöbiadì e au dmenga, au dmengadì.
     E in bot u vegn jindà (quand l’era noč bsögnava pö gni a ca) oh damoni! “Ag ha in bic semper avanti e ’ndré avanti ’ndré ch’u m cur adré”. U l’ha be vultù ’ndré, scascigù, ma u peva mi’ fal sta via. E u riva ca e u dis cun moma sua:
     “Oh! a sun be gnič, ma arseria u m  cureva dre ’n bic, na crava”.
     “Ma que t an ei fač?”
     “Oh l’ho  mesa ji in la casina; va pö ji la matin, dag in po’ da mangià”.
     “ Ta la t ivi dasà na par la so veia“
“A l’ho  mesa dvent, deg in po’ da mangia, e pus a la verima pö fo”.
     Indura sta fémna, moma sua, l’è nacia ji. Quand l’è ji… l’è migna na crava! L’è la muruša là tacà a la culana int la prašéu. Indura la g ha bi puria. L’è nacia si, e la dis:
     “Oh damoni! Va ji vega: n’è mi’ na crava, l’è la to muruša!”
     “Oh pusibil!”
     “Va ji vega! l’è la to muruša!”
     L’era propi lei! I l’han pö verta fo, que ch’i n evan da fa; l’è pö nacia. A vardei che… la g va pö tita!
     Pus i sparivan pö quand l’era pö du dì asuì au stri; i gnivan quand ch’u gniva noč. Perqué nui, quand u sunavan l’Au Maria, bsögnava artras a na ca, parqué u gh era au stri, e au stri i favan ve puria.






L’ERA NA STRIA E MI A L’HO  GNUSĺA
(Maria)
      ... ... ... ...
      Mi quand a nava a Sčeranc a ità i mei noni a cavà o itag in po’ a fa quaicušeta asuì a truųai, mi a gh eva puria a na a Sčeranc, parqué quela fémna lì a l’eva ’ncù gnusìa mi, parqué la mi nona la gh eva la casina dal crau e dal peuar visin ainò ch’u stava quela lì. E i m disevan semper:
     “Parleg pö migna, ne, nei pö ’d cursa quand ch’u la veghì”.
     A Muntaschei i m gevan da mia fermas a parlà cun al féman da Muntaschei parché in stri. E da ciapà gnente, difatti quand i gnivan a pröu “Oh che bei bardèsa, che bei bardèsa! U si da Viganela?” Ma a navan! in bot i gevan ch’i gh eran.
I gevan che au sabat seria, int i prai dul Lavaröt l’era piei ad luce. E į eran au stri ch’i balavan.

visin: italianizzazione di "a pröu, usato poche righe più sotto.

disevan: italianizzazione di "gevan"

gnente: italianizzazione di "ingota", dal latino "ne gutta" .

bardesa: mentre a Viganella i bambini sono detti ueter, a Seppiana e a Montescheno,  che si trovano a pochi chilometri da Viganella, sono detti bardèsa.  

Un personaggio di fantasia, caratteristico del paese, è la Murtafeta, una vecchia  cattiva, brutta, sporca, spettinata, che porta via i bambini e li mangia. Il personaggio doveva incutere paura proprio ai bambini e tenerli lontano dai luoghi dove la Murtafeta abita: e abita sempre in posti pericolosi…

LA MURTAFETA
     Sugli alpeggi, per far paura ai bambini, che magari facevano arrabbiare, dicevano:
     “Attento che stasera arriva la Murtafeta! Fa’ il bravo!” Per farci paura, per farsi ubbidire. O alla sera quando non volevamo andare a dormire:
     “Adesso andiamo a chiamare la Murtafeta; ti farà dormire lei!” E noi avevamo paura.
     La Murtafeta arrivava ed era una delle nostre mamme; metteva uno straccio sulla testa e poi veniva avanti:
     “E dov’è quel bambino che fa arrabbiare! Datelo a me che lo porto via! Dov’è quel bambino!”
     Noi avevamo paura e allora sì che andavamo a dormire. Dire Murtafeta è lo stesso che dire: “Attento che viene il lupo”.
     E noi avevamo anche un po’ paura; sai com’è… e poi avevano magari anche un lanternino in mano… sai bene, sull’alpeggio, di notte, non vedi niente, vedi solo un lenzuolo bianco venire avanti… il lanternino… chi non avrebbe avuto paura!





CONFINANTI E   MURTAFETA
     Poi c’era la storia della Murtafeta. Per far paura ai bambini dicevano che c’era la Murtafeta.
     A noi alla Piana parlavano dei confinanti. Erano uomini che mangiavano le capre, mangiavano i bambini. Alla Piana è bello dalla parte verso Viganella, ma se sali un po’, c’è un vallone ripido ed è pericoloso. E allora dicevano di non andare sul Ciapel che è un punto su alla Piana un po’ pericoloso.
      “Non andate sul Ciapel perché ci sono i confinanti”.
     E mamma ci raccontava: “Hanno mangiato la Fasola i confinanti (era una capra che si chiamava Fasola) e abbiamo trovato solo il sonaglio. Non andate perché hanno mangiato la Fasola. Non andate da quella parte.”
     Sai tutte quelle storie per farci avere paura. Ancora adesso io dico alle mie nipotine: “Se mi fate arrabbiare chiamo la Murtafeta!”
     Sai, sotto casa mia non è che sia proprio bello, c’è un salto; un pezzo è recintato, un pezzo è ancora aperto; Claudio, mio figlio, dice: “Sono cresciuto io, cresceranno anche loro. Se dici che c’è la Murtafeta non vanno nel pericolo”.
     Un giorno la piccola, più furba di quella grande, mi dice:
     “Ma non esiste mica la Murtafeta, nonna!”
     “E chi ti ha detto che non esiste?”
     “La mamma mi ha detto che è una storia”.
     “La tua mamma dice che è una storia? Vuoi che chiami la Murtafeta?”

     “No, no, per l’amor di Dio!”
     Crede ancora un po’ e le dico che sta sotto il ponte del Mulin. La Murtafeta c’è ancora sempre a Viganella. Non sta più alla Gurbegia, no.
     “E chi è la Murtafeta, nonna?”
     La Murtafeta è una vecchia, una vecchiaccia. Con i vestiti rotti, sporca, non si lava mai, spettinata, una strega, e  mangia i bambini, li porta via.
     Mi dice la mia nipotina: “Ma tutti tutti li mangia?”
     “No, non proprio tutti; qualcuno lo tiene per i lavori.”
     “Ma che lavori ha da fare la Murtafeta se non si lava neanche mai?”

     E’ terribile la piccolina. Se non si lava neppure mai, che lavori ha da fare!

LA MURTAFETA    (Edoardo)
     Nui a seran si pa n alp, e ’ndura par fa puria ai bocia che magari i faševan rabià, al mom i gevan:
     “Varda che staseria la vo pö rivà la Murtafeta, ne! Fa ’l brau!” Par fan puria, par fan ubidì. Quand l’è la seria, magari i n’aulevan mi’ na a durmì:
     “Ades nema a ciamà la Murtafeta; la t vo be fa na durmì!”
     Nui į evan puria. La Murtafeta la gniva e l’era ina di noster mom; la mateva sü ün straš sü pa la testa e pö la gniva avanti:
     “E ainò ch’l’è cul bocia ch’u fa rabià! Cià qui ch’a l porta via! Ainò ch’l’è cul bocia!”
     Nui a gh evan puria, e indura a navan be pö a durmì. La Murtafeta l’era cumpagn me di: “Ara (1) ch’u vegn ul lupo!”
     E nui a gh evan pö anca ’n po’ puria; t se’ be! ’ndà pa la noč… e pö magari i gh evan inca in lanternin… t se be, sü pa į èlp ad noč, ch’u ta vegat mia, ta vegat ma ’n lanzöl bianc gni avanti… ul lanternin… chi l’è ch’u g ha mi puria!
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1) Rohlfs attesta forme abbreviate per l’imperativo, ad    esempio per il piemontese arda, guarda (Grammatica storica,    cit., Morfologia, p. 451). Nel dialetto di Viganella oltre alla    forma arda si trova anche la forma ara nel significato di    “attento!” (Si veda “MOMENTI DI VITA – Mangià la posta”,    p. 12/21).

CUNFINANT E  MURTAFETA (Candida)
      Pö u gh era quela dla Murtafeta, par fa ve puria ai ueter, i gevan ch’u gh è la Murtafeta.
     Nui a la Piana i gevan ch’u gh era i cunfinant (1). I cunfinant į eran dį òman ch’i mangiavan al crau, i mangiavan i ueter, t sei par fa ve puria… parqué lì a la Piana, l’è bel da la part da qui, però, s’at nei sì ’n tuchet, u gh è tit in valon drič, e u gh è pericul. E ’ndura i gevan da no mi na sì sì ul Ciapel, un punto sì a la Piana in po’ periculus.
     “Nei migna sì sì ul Ciapel parqué u gh è i cunfinant”.
E moma la n chintava sì: “I n han mangiù ’l Fasola, i confinanti (l’era na crava ch’la s ciamava Fasola) e ades l’ema truųù la sunaia. Nei mi pö da lì parqué i n han mangiù ’l Fasola! Nei mi pö da lì”.
     T sei, tit qui stori par fan ve puria. Mi ades anca cun al matàn a dig sempar: “Fem rabià! Fem rabia ch’a ciami la Murtafeta!”
     T sei sota ca mia l’è mia ch’a sia ’n gran bel, u gh è u sbauz, in toc l’è cintù e ’n toc l’è ’ncù vert, e Claudio u dis:
     “Ma! A sun gni grand anca mi, i von be gni grand anca lur.  S’at gi ch’u gh è la Murtafeta i pasan mi’ ji”.
     In dì la pišna la m ha dič, parqué l’è pi’ fürba che quela granda:
     “Ma guarda che non esiste mica la Murtafeta, nonna!”
     “Ma chi ch’u t l’ha dič  ch’la esist migna”
     “La mamma mi ha detto che è una storia”
     “La to mama… l’è na storia! Ma la Murtafeta t vöi ch’a la ciama?”
     “No, no, no! per l’amor di Dio!”
     La cred incù ’n po’ e a g dig ch’la sta jindà sot al punt dul Mulin. La Murtafeta la gh è ’ncù semper a Viganela. La sta pi a la Gurbegia, no.
     “E chi è la Murtafeta, nonna?”
     “La Murtafeta l’è na vigiascia, na vecchia, no? Con quei vestiti rotti, sporca, non si lava mai, i capelli giù, fatta a strega, e mangia i bambini; la mangia i ueter, la i porta via.
     U dis: “Ma tutti tutti li mangia?”
     “Ma na, propi tit tit, in quandin la l tegn par fa pö… par fag fa i söi laür.”
     “Ma che laur la Murtafeta, se non si lava neanche mai!”
     L’è teribila la pišna. S’la s lava gnanca mai, che laur la g ha da fa!
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1) Anche Maria, sorella di Angiolina, mi ha parlato di questi     cunfinant, uomini che giravano per le montagne e facevano     paura alle donne sugli alpeggi.

Di fianco alle baite di Scarpi la forra del torrente Ovesca è ben evidente e marcata. Forse questo aspetto ha alimentato le leggende sulle streghe.
L'inquietante aspetto del rudere del Pilet dall'interno.

Il ponte del Mulin, dove abita l'ultima Murtafeta dei racconti.

i von be gni grand anca lur (lett.: vogliono ben venir grandi anche loro): esempio di futuro col verbo "volere".