La Colma, alpeggio sullo spartiacque tra la valle Antrona e la valle Anzasca.

Sugli alpeggi :   testimonianze

SUGLI ALPEGGI
     Quando arrivava la primavera le donne prendevano i bambini, partivano e andavano sugli  alpeggi con i bambini e le mucche; gli uomini andavano a fare i loro lavori.
     Noi, cinque figli, eravamo alla Colma con la mamma che in più aveva sempre anche i nipoti; io sono nata il 18 febbraio e a metà giugno ero già sull’alpe; avevo pochi mesi. E lassù la mamma doveva badare a tutti i bambini, a mucche, capre, un maiale, galline, eccetera. C’era di tutto lassù. Papà veniva una volta o due alla settimana a portare il cibo; faceva magari dalle 2 alle 10 in fabbrica e arrivava su dopo le 10, di notte con i viveri; prendeva burro e formaggio da portare a casa.
     Finché eravamo piccoli magari avevamo solo sei o sette mucche. Dopo, quando siamo cresciuti e potevamo aiutare, abbiamo tenuto anche 25, 26 mucche; avevamo su 50 capre, due maiali, galline non so quante; ce le portava via il falco, la volpe, poi arrivava la chioccia con i pulcini, che non sapevi neppure da dove sbucasse…

SI  PA Į  ELP     (Candida)
     Quand u rivava la primavéria al féman i tevan si tit i söi uèter, i partivan e i navan ainò ch’agh evan ul so alp, cun i ųeter e al vac; e į òman i navan a fa i söi laür da oman.
      Nui a seran a la Colma, cun la mama, nuįèut (1) tit ųeter, scinc, e n pi la gh eva semper anca i neüd; mi sun nasìa ai dašdot ad faurèr e a metà ’d giügn a sera sü là. A gh eva poic mis. E la si la mama la gh eva da sta dre  (2) a tit i uèter, e ’l vac e ’l crau e ’l pörc e ’l galin e tit cos. U gh era tit cos si là! E ’l pa u gniva si in bot a la šmana o do a purtà ul da mangià, u fava magara anca dai do ai dés e u rivava si pus (3) ai dés, ad noč (4); u purtava si ul da mangià e u teva si ’l bir e ’l furmač a gni a ca.
      Finché seran si ch’a seran piscian magari a gh evan ma ses o set vac. Pus, quand ch’a sema gni si pena pisei, fin a vintiscinc, vintises vac, a gh evan si scinquanta crau, dui pörsc (5), galin n’a so gnanca, ai purtava via l’eula, la volp; pö u rivava scià (6) la croc cun i pulšit ch’at sivi gnanca d’ainò ch’l’era…

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1) Rohlfs attesta che in alcuni dialetti, ad esempio in certe zone del Piemone, i pronomi personali di prima e seconda persona     plurale possono essere rafforzati con altri (Grammatica storica, cit., Morfologia, p. 134). La stessa cosa vale per il pronome di     terza persona plurale (Grammatica storica, cit., Morfologia, p. 135). Tale osservazione trova riscontro nel dialetto di Viganella in     cui si incontrano le varianti nuįèut, vuįèut e lurèut per il maschile, nuįaut, vuiaut, luraut per il femminile.
2) Nel dialetto di Viganella l’avverbio dre (dietro) assume molto spesso altri significati. In funzione di componente verbale in     unione con il verbo avere prende il significato di avere con sé. Può dare alla forma verbale il valore di azione continuata     rendendo l’espressione italiana stare+gerundio. Oppure di occuparsi di qualcuno o di qualcosa. Può anche avere il significato di     seguire.
3) Rohlfs attesta che la preposizione latina post “con funzione locativa e temporale si continua soltanto nell’italiano antico”     (Grammatica storica, cit., Sintassi e formazione delle parole, p. 221). Tale forma si trova nel dialetto di Viganella resa con pus a.
4) Candida si riferisce ai turni in fabbrica.
5) Nel dialetto di Viganella i nomi che terminano in -örc, hanno il plurale in -örsc. Un altro è örc pl. örsc = sciocco, stupido.
6) Il dialetto di Viganella conosce la forma scià (it. qua) usata solo in presenza di verbi di movimento unicamente in funzione di     componente verbale. In funzione di avverbio si trova solo la forma qui.

IL VESTITO E LE SCARPE
     Al Crap era bello! Ricordo che quando ero ragazzo avevamo 15 o 16 mucche e un bel po’ di capre. Era bello al mattino quando ci si alzava; proprio vicino alla baita c’era una roccia e là come spuntava l’alba si vedevano le pernici, proprio sul sasso e lì vicino la volpe… ogni tanto ne prendeva qualcuna. Era uno spettacolo!
      Poi arrivavano le capre, tutte a salti, perché stavano là sui sassi a dormire. E avanti, arrivavano! Davi loro un po’ di sale e poi le mungevi; poi si andava a pascolare, a prendere acqua; bisognava prenderla con un piccolo recipiente di legno, la si andava a prendere scalzi. Allora il vestito erano un paio di pantaloni corti, un maglione di lana di pecora e basta.
      Non c’erano né scarpe né altro; le pantofole le usavamo quando si scendeva dagli alpeggi per la festa di Santa Maria, solo allora si avevano le pantofole; sull’alpeggio mai… neppure se pioveva.
      Certe mattine quando si usciva c’era un freddo della miseria, con la brina, perché il Crap è già alto; la prima mucca che faceva lo sterco… subito mettevamo i piedi dentro per scaldarli. Era una cosa che… E poi si andava a pascolare tutto il giorno: era il nostro compito. E bisognava stare attenti perché poco sopra vi era il confine con quelli di Montescheno e non potevi oltrepassarlo. Ogni alpeggio aveva il suo confine, l’erba era preziosa. Il pastore di Ogaggia, quando vedeva una mucca che superava il confine, mandava il cane verso le mucche. Il confine passava proprio sul sentiero e guai!


RITORNO AL PASSATO
     Adesso siamo proprio tornati come eravamo una volta perché secoli fa, quando hanno incominciato ad abitare in valle Antrona, era tutto un bosco solo. Hanno iniziato a terrazzare, a coltivare la vite e ad allevare animali, capre, pecore, mucche e pian piano hanno pulito tutto… forse ricordi com’era bello, tutto pulito. Adesso siamo tornati proprio come prima, tutto è abbandonato, il bosco invade tutto. Veramente forse è meglio, perché l’aria è più pulita, che se non abbiamo l’aria buona qui… ma adesso non si potrebbe vivere come una volta… no, no per fortuna, perché come ti ho detto, un pezzetto di straccio lo dovevi conservare fino all’ultimo… l’ultimo residuo era per un paio di pantofole.

UL VESTI’  E  I  PZOI   (Gino)
     Al Crap l’era bel! A m argordi da bocia, a gh evan si quindas o sedas vac e in bel po’ ’d crau. L’era bel la matin quand u s alvava si, propi a pröu a la baita, sura u gh era ina rocia, ul sas dal Crap, e lì me ch’u spuntava l’alba u gh era al pernis, propi sü u sas, e lì visin la volp, l’è logic perché ogni tant la n ciapava na quaidina da mangià. L’era in spetacul!
     Pö i rivavan ji ’l crau, tit a salti, perché i stavan li sü i ses a durmì. Avanti! i rivavan, ta g divi pena ’d sal e pö t ai munjevat. Pus u s nava a meta fo, a to acqua; u nava tola cun ul brentìn ad legn, la s nava a to scüz… andura ul vestì l’era na braga chirta, ul maion ad lana ’d peura, e basta. 
      U gh era mia né scarp né ’ngota, i pzöi i s druavan pö quand u s rivava ji par Santa Maria, quand u gh era la festa ad Santa Maria che su scargava, indura u s gh eva pö i pzöi; si l’alp mai… anca s’u piuveva.
     E u gh era di matin quand at pasivi fo, u gh era magari in freč da la miseria, perché ’l Crap l’è ja aut; cun ji la pruìna, la prima vaca che magari ch’at vaghivi ch’a fava la buàscia, sübit là da metag įent i pei, per scaudas i pei. L’era na roba che… e pö  t nivi a meta fo tit ul dì, l’era ul nos cumpit. E u nava cürai, perché sura u gh era ul cunfin (1) cun qui ’d Mutaschei, e t pivi migna pasà ul cunfin. Ogni alp u gh eva ul so cunfin, l’erba l’era pregiata al masim. U gh era cul da si dau Ganja, quand u vegheva che na vaca la pasava fo, at mandava ji ul can dre ’l vac. U gh era propi ul santér ainò ch’u fava ’l cunfin e guai!




TURNA’ INDRE’    (Candida)
     Ades sema propi turnei me ch’a seran in bot qui, perché ’n bot quand į han manzù gni a viva in la val Antruna l’era ma ’n bosk sul; in nèč adré a fa tit sti piazze e fa vigna e manzà a piantà vigna e pö tirà scià ’l besti, e crau e peuar e vac e i navan adré e į han pulì tit… forse ti tat argurdei me ch’l’era bel, tit pulit. Ades sema tùrna parer me prima, tit abandonato, tit bosk; veramente forse l’è mei, perché l’aria l’è pisé pulida, che s’a gh ema migna l’aria buna qui… ma ades u s pures migna viva me ’n bot… no, no par furtina, perché  t ho be dìč, in tuchin d’in strasc t ivi da tegnul fin  a l’ultimo… l’ültim residuo l’era fa ’n para ’d pzöi.

Taglio del fieno all'alpeggio; il bastone in primo piano è un "terman" (pl. tirman): segna il confine della proprietà.

Alcune baite sono state ristrutturate; pannelli solari garantiscono la corrente elettrica, l'acqua è a portata di mano. I proprietari le usano per periodi di vacanza. Si raggiungono solo a piedi, con 1-2 ore di cammino. La tranquillità è assicurata.

Crap

Baite ristrutturate nei pressi dell'abitato, sono diventate un agriturismo.

cunfin: Italianizzazione. La corretta espressione in dialetto sarebbe t siri a terman cun  = eri al confine con

feman: plurale di "femna" .
Per i nomi femminili nel plurale cade la -a finale. Nel caso di incontro di consonanti di difficile pronunzia, si ha il fenomeno di epentesi vocalica: femna < femn < feman.
Nel termine "canva" = cantina, la -v viene a trovarsi in posizione finale e si trasforma in -u:
canva < canv < canav < canau
italianizzazione di "casela"
italianizzazione di "cauzèr"